Io e la tecnologia

Una piccola premessa: questo post è un flusso di pensieri, senza una vera formattazione, una scansione in argomenti o idee. È confusionario, forse persino contraddittorio. Ma il fatto che lo stia pubblicando comunque è forse legato in qualche modo ai suoi stessi contenuti. Parlando con un amico pochi giorni fa, ho avuto modo di riflettere su come ci rapportiamo, oggi, con le cose che amiamo e con le cose ci appassionano, e su come la tecnologia stia in un certo senso rendendo le cose un po’ complicate. Mi sono accorto che nel tempo del tutto e subito siamo diventati collezionisti. Mi piace un fumetto? Mi procuro ogni singolo numero altrimenti non potrò ritenermi soddisfatto. Mi piacciono le serie televisive? Accumulo centinaia di gigabyte di puntate sul Mac sperando di trovare, prima o poi, il tempo di guardarle tutte. Sono un appassionato di tecnologia? Colleziono Feed RSS e mi illudo di poter leggere ogni singola dannata notizia che viene pubblicata ed è inerente, anche alla lontana, all’ambito che ho scelto. Senza fare altri esempi, mi limito a dire che non ci basta il consumo di per sé, o almeno non è più sufficiente. Dobbiamo accumulare, collezionare. Poi divoriamo tutto voracemente, magari mentre facciamo altre 10 cose insieme. Ma la fame è insaziabile, e si crea un circolo vizioso che crea il problema fondamentale.

Il consumo, che dovremmo intendere come un piacere più o meno consapevole, e più o meno indotto, diventa un lavoro. Se perdiamo una puntata, stiamo male. Se non scarichiamo l’intera discografia, stiamo male. Se non abbiamo il numero 1 del fumetto x, ci disperiamo. Gli ebook reader stanno portando questa forma mentis anche dove era difficile immaginare che potesse succedere, ovvero nella lettura: chi possiede un dispositivo del genere sa com’è facile mettere insieme quantità incredibili di libri e altre cose da leggere. Il passo successivo è quello dell’overload. Arriva un momento in cui, infatti, ci sentiamo un po’ sopraffatti da tutte queste cose, e se siamo abbastanza coraggiosi, cominciamo a fare piazza pulita. E via con le decine di amicizie inutili su Facebook da eliminare, con i following su Twitter di gente che scrive cose che non ci interessano minimamente, con i feed RSS che pubblicano 50 post al giorno, dei quali al massimo 5 ci interessano davvero (e sono quei 5 che leggeremo comunque in un modo o nell’altro), con le serie tv scaricate per intero mentre ci bastava procurarci qualche episodio per cominciare.

Ma non tutti arrivano a questa fase, e chi rimane in quello stato allucinato di chi fruisce, passivamente, di tutto quello che si trova davanti, sta trasformando una delle più grandi rivoluzioni della storia dell’uomo (il world wide web) in un’arma. Un’arma che ci puntiamo da soli alla testa, che quando premiamo il grilletto non spara un proiettile che attraversa il cranio in slow-motion (o dovremmo dire in 3D stereoscopico, viste le ultime tendenze), dicevo è un’arma che aspira quello che abbiamo nella testa, che ci fa diventare degli zombie. Scarichiamo, compriamo, tappiamo, swipiamo, pinchiamo e la verità è che non siamo nemmeno in grado di stimare quanto tempo passiamo a drogarci di contenuti. Se chiedete a una persona che passa molto tempo su Facebook, quanto tempo passi effettivamente su Facebook, vi assicuro che senza accorgersi di mentire a se stessa vi dirà qualcosa come la metà delle ore effettive. E quello che vedo, e che mi spaventa, è che la parola droga è davvero adeguata a questa situazione: dopo aver visto alcuni miei coetanei passare molto tempo, ogni giorno, semplicemente in uno stato di catalessi a sfogliare centinaia (se non migliaia) di immagini idiote su Facebook, penso che la parola drogato sia tecnicamente giusta. Bisognerebbe fare un test e verificare quanto la gente si ricordi, dopo diciamo 24 o 48 ore, di tutte queste immagini, vignette o citazioni fruite in questa modalità ogni giorno. Penso che quello che rimanga sia veramente poco, e che di conseguenza anche la capacità di selezione delle persone venga ogni giorno, irreparabilmente, compromessa.

E vedo anche chi passa tutto il giorno, ma davvero tutto il giorno, a messaggiare e chattare con persone lontane, dalle quali non ci si riesce a separare. Perché se è vero che la tecnologia ci rende più vicini, è anche vero che rischiamo di non essere più in grado di staccarci e prendere il volo (anche letteralmente) senza rimanere in costante contatto con gli altri. Può sembrare un discorso eccessivo ma vi assicuro che c’è chi non riesce a stare un singolo giorno senza messaggiare e chattare e chiamare gente che magari rivedrà dopo poche settimane, o persino giorni. E siamo quasi arrivati a un punto in cui, dopo aver visto un film con un amico, scriviamo prima le nostre impressioni su Facebook e Twitter, e solo dopo ci giriamo a cercare un feedback dall’essere umano che abbiamo accanto (e questo è uno dei motivi per cui preferisco sempre e comunque la sala cinematografica, che stimola la discussione post-film). Siamo (quasi?) arrivati a un punto in cui anche quando due persone hanno conversazioni importanti e delicate, non si può fare a meno di rispondere all’sms che è appena arrivato, distogliendo lo sguardo dalla persona che si ha davanti. «Ma io ti sto ascoltando!» diciamo al nostro interlocutore, che però in realtà stiamo privando di un indispensabile dispositivo della comunicazione faccia a faccia, il feedback visivo.

Ecco perché anche se io sono una persona molto, troppo, legata alla tecnologia, credo fermamente che dobbiamo, tutti noi, fermarci. Questo è un discorso che sto facendo prima di tutto a me stesso. Prendiamoci un momento di riflessione. Io lo sto facendo. Mi sto chiedendo: cosa voglio davvero sapere? Chi voglio davvero seguire? Cosa voglio davvero leggere? Cosa voglio davvero vedere? E mi sto chiedendo se sto dando il giusto peso all’esperienza concreta delle relazioni umane. E mi sto anche chiedendo perché mi sono trovato, ultimamente, a sentire il dovere di leggere la Timeline di Twitter. Il dovere di seguire i miei feed RSS. Il dovere di scrivere su questo blog. Il dovere di rispondere a ogni, singola, email. Il dovere di imparare javascript o chissà cos’altro. E voglio abbandonare le liste di film o di album da scaricare. Le liste di libri da leggere. Basta. Sto per andare finalmente in vacanza e voglio tornare con una mentalità diversa, un approccio diverso. Non voglio più lasciare che sia la tecnologia a dettare i miei tempi, a decidere cosa devo leggere, cosa devo ascoltare, cosa devo vedere, con chi devo parlare. Sono riflessioni, le mie, un po’ estreme e decisamente sconclusionate, ma se è vero che un blogger scrive prima di tutto per se stesso, e che io in questo momento sto facendo il blogger, allora direi che va bene così, e che potete prendere queste righe come la bozza di sceneggiatura di un monologo allo specchio del sottoscritto.

Scritto da il 20/7/2012 in Best of Feelmaking, Pensieri.