Perché Lo Hobbit potrebbe sembrarti una fiction italiana

Jim Vejvoda di IGN ha visto in anteprima 10 minuti di Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato di Peter Jackson. Non gli sono piaciuti. Il film è 3D, ma la sua particolarità è un’altra: è girato, e proiettato, a 48 fotogrammi al secondo. Quelli che seguono sono dei tecnicismi, ma costituiscono il cuore della riflessione. Prima di tutto, vi ricordo che un film viene normalmente proiettato a 24 fotogrammi al secondo. L’alta definizione invece, almeno qui in Europa, la guardiamo a 25fps. La televisione invece è a 50 semiquadri al secondo (diciamo che sono dei fotogrammi, ma dovreste leggere qui per non avere dubbi). 50 (o 48) fotogrammi al secondo è un framerate molto più vicino a quello che il nostro cervello interpreta come un movimento fluido. Bene, il problema è che quella fluidità da un look estremamente televisivo anche alla ripresa più cinematografica, forse proprio perché siamo abituati così. E infatti, tornando a Lo Hobbit, Vejvoda scrive:

Che sensazione ci danno le riprese di un film a 48fps rispetto alle riprese a 24fps a cui siamo abituati? Secondo il sottoscritto, sembrano televisive e fanno pensare al video in alta definizione. E non sembravano neanche particolarmente belle. Si, è scioccante, ma sono rimasto davvero deluso dalle riprese di Lo Hobbit, esattamente come gli altri giornalisti con cui ho parlato dopo la proiezione.

Quello che dice Jim Vejvoda non è affatto fuori dal mondo. Anzi, la scattosità del 24p è stata persino usata con fini artistici in passato. Pensate al lavoro del direttore della fotografia Janusz Kaminski nel film Salvate il Soldato Ryan: nelle riprese di guerra, la confusione, la violenza e la drammaticità di quegli eventi (e parliamo soprattutto del livello fisico, percettivo, concreto della battaglia) era portata sullo schermo anche grazie all’uso di alte velocità dell’otturatore che, combinate con “i soli 24 fotogrammi al secondo” hanno conferito alle riprese un look indimenticabile.

Si dice che l’alta frequenza dei fotogrammi dia un look più realistico alle riprese, permettendo agli spettatori di immergersi maggiormente nella narrazione. Probabilmente quello che succede è l’esatto opposto.

Le riprese a 48 fotogrammi al secondo potrebbero dare vita a immagini più realistiche, che ti facciano sentire parte della scena, ma questo in realtà non fa che danneggiare Lo Hobbit. Questo incontestabile “realismo” non ha fatto altro che allontanarmi dal film invece che immergermi nel suo mondo come fecero i film de Il Signore degli Anelli; l’elemento fantastico e i suoi espedienti erano chiaramente, e a volte dolorosamente, evidenti.

Bisogna dire che il regista in un certo senso potrebbe voler ottenere risultati simili, ma sicuramente non è il caso di un film fantasy. Pensate a Collateral di Michael Mann, dove quell’effetto, diciamo così, televisivo era ottenuto girando con velocità dell’otturatore molto basse. Ci sono sequenze di Collateral che sembrano, infatti, girate da qualcuno che si trovava sul set per caso, ma questo da a quelle scene una maggiore credibilità, e un look sorprendentemente unico, e anche innovativo. Innovativo perché si trattava del primo film girato (quasi) interamente in digitale.

Ho l’impressione che Peter Jackson abbia intrapreso un’avventura molto tecnologica, ma molto poco cinematografica. Inoltre si potrebbe dire che il 3D stesso abbia contribuito a deludere Jim Vejvoda e gli altri giornalisti, e che potrebbe in un certo senso compromettere la riuscita dell’esperienza di visione collettiva in sala. Per chiudere, quindi, cito Christopher Nolan – il regista che forse attualmente ha il rapporto più equilibrato con la tecnologia – che ha detto in una recente intervista:

Il 3D è una definizione impropria. Tutti i film sono 3D. L’esistenza stessa della fotografia è dovuta alla tridimensionalità del cinema. Il fatto è che l’immagine stereoscopica dà a ogni spettatore una prospettiva individuale. Va bene per i videogiochi o altre tecnologie immersive, ma se quello che cerchi è un’esperienza collettiva, è difficile abbracciare la stereoscopia. Io preferisco la grande tela, guardare uno schermo enorme con un’immagine che è più grande della vita stessa. Quando adoperi la tecnologia stereoscopica, e abbiamo fatto molti test, riduci le dimensioni e l’immagine diventa una finestra molto più piccola davanti ai tuoi occhi.